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Storia di una Befana di mezzo secolo fa alla Ceramica Pagnossin

Lungo la nappa, sopra la cucina economica ancora calda per le "bronse" che non intendevano spengersi dopo la notte tersa e fredda, tra i panni e gli strofinacci stesi ad asciugare c'era lei, la mia calza, intesa proprio come calzino, quello lungo da inverno, che avevo appeso con l'aiuto del babbo prima di rintanarmi sotto la "còlsara" e dormire profondamente come un ghiro nella sua mobida, accogliente tana, sognando da dove e come sarebbe arrivata, perchè ero certo del suo arrivo!, quella vecchina "dalle scarpe tutte rotte, con un sacco pien di doni da portare ai bimbi buoni.." che ai cattivi portava un pezzo di carbone. Era gonfia la mia calza con arance, "stracaganasse", caròbole, fighèti e sirèe, le dolci e medicamentose caramelline, panacea per le affezioni bronchiali di stagione. Ma non c'era tempo per gioire, incombeva l'incontro ravvicinato con la generosa vecchina. Messo il vestito buono, quello per la messa domenicale, mi avviavo col babbo là dove, mattina, mezzogiorno e sera, partiva il lancinante suono di una sirena.

Era la "ceramica", come tutti chiamavano la grande fabbrica dove papà lavorava. Quel giorno, merito della buona vecchina che stavo per incontrare, i cancelli s'erano aperti proprio per noi bimbi, unica volta in tutto l'anno. Varcata la soglia tanti genitori incolonnavano i figli verso una bassa costruzione con ampie vetrate da cui arrivava un'ammaliante e caldo profumo di cioccolato. La Befana aveva predisposto tutto, ognuno di noi aveva il posto prefissato e tutt'attorno c'erano dei signori eleganti che s'affaccendavano attorno ai tavoli, senz'altro i suoi bravissimi aiutanti, si pensava, vedendoli correre e confabulare da un capo all'altro della sala. Poi arrivavano delle "pacioccose" signore con degli enormi pentoloni fumanti ed in mano degli altrettanto grandi mestoli. "Ciao bel putèo, situ stà bon 'sto ano con mamma e papà?" Nessuno rispondeva, troppa la soggezione, ma arrivava comunque un mestolone che riempiva di dolcissima cioccolata la nostra tazza, personalizzata chè c'era il nome dipinto!, fino all'orlo.

E subito il più distinto dei signori di prima si fermava davanti ad ognuno e ci consegnava i regali . Il cuore batteva forte: era forse il marito della Befana? Impossibile, troppo giovane ed aitante. Allora senz'altro il suo braccio destro a cui lei, dopo le fatiche della notte appena passata aveva delegato le ultime incombenze. Uscivamo dalla grande fabbrica colle pulsazioni a mille, sommersi di doni, una gioia assoluta che mai, negli anni a venire, avremmo più provato. Il babbo sorrideva ed io con lui, non servivano parole nè chiedere, come si fa ora, "sei contento? ti è piaciuto?" Occhi e cuore parlavano da soli.

Questa fu la Befana alla Ceramica Pagnossin e quei ricordi indelebili ancora accompagnano chi li visse tanto che, quando nel 1977 con "una decisione infame di cui noi del sindacato fummo ampiamente responsabili" come ebbe a dichiarare Ottaviano del Turco molti anni dopo, venne abolita per decreto, noi si continuò a festeggiarla e ad onorarla, parte insostituibile della nostra vita. E tanto tuonò che piovve visto che la Befana venne ripristinata, a furor di popolo, nel 1985. Per noi non era mai morta perchè non si può abolire un sogno, un'emozione, un'attesa che ogni anno, nella notte dell'Epifania diveniva realtà. Ceramica Pagnossin non esiste più ma quel giorno, quella festa, quella gioia ha scavalcato le generazioni ed i decenni e continua a perpetuarsi con la calza appesa, la pinza ed il bicchiere di rosso sulla tavola per rinfocillare l'amatissima Vecchina e quel tazzone, invecchiato un pochetto, ma che ringiovanisce subito se un mestolo di caldo nettare lo riempie ancora.


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