Segnalazioni

L’antico gioco della borella rievocato a Santa Cristina di Quinto

Nei giorni scorsi si è tenuta nella struttura dell'Agriturismo Al Sile una dimostrazione pratica di un gioco contadino per eccellenza, la borella. In pedana Lino Rossi (1943), pluripremiato borellista degli anni Settanta - Ottanta e titolare dell'agriturismo; Angelo Rossetto (1946), nato a Sabaudia da contadini trevigiani emigrati nel Lazio all'epoca della Bonifica Pontina e Arnaldo Mogno (1938) di Scorzè.

La borella (borea) consiste nell'abbattere il maggior numero di birilli (soni) con una pesante boccia di legno (baƚa).

L'origine del gioco è antichissima. Durante la visita pastorale del 1592 un fabbriciere di Casier, interrogato sul comportamento del parroco Giacomo Antonelli, dichiarava: «… questo nostro prete zuoga a carte, e ogni zuogo pubblicamente con gran scandalo del populo, et anco l'havemo ripreso; l'ho visto anco zugar alla borella … ».

Pur essendo la borella un gioco prevalentemente contadino, non per questo era disdegnato dai residenti in città. Tanto che Marco Zen, podestà e capitano di Treviso, nell'estate del 1782, accogliendo i reclami del rettore del seminario vescovile, pubblica e fa affiggere ai muri esterni dell'istituto un proclama - tuttora visibile sotto i portici dell'attuale via Manzoni all'altezza del civico 17 - in cui ordina che « … non debba farsi lecito in qualunque tempo ed ora di giorno di notte radunarsi in dette calli conterminanti e che circondano detto seminario a giocare alla palla, pallone, borelle né altri giochi restando proibita ogni radunanza che porti seco sconvolgimento, strepito sussurro e scandalo (…)».

Tornando ai nostri contadini, l'11 marzo 1849 un drappello di gendarmi del "Distaccamento di Guardie d'Ordine Pubblico" di Mogliano Veneto, agli ordini di Giuseppe Furlanetto, è in perlustrazione nelle campagne di Canizzano per reprimere le numerose rivendite abusive di vino. Alle cinque del pomeriggio, dopo aver visitato senza esito le case dei "sospetti" Pietro Artuso e Antonia Dozzo, si avvicina all'abitazione di Tomaso Sisto. Qui, «mentre alcuni individui si danno alla fuga», le guardie scorgono dei contadini intenti a «un gioco così detto di Borella nel campo di Giuseppe Grespan poco distante dal Sisto (…) e si ritiene che il Sisto stesso gli vendesse il vino».

Fino alla metà del Novecento la borella era diffusissima in tutti i paesi di campagna di Treviso e delle vicine province di Padova e Venezia. Ricorda Arnaldo Mogno: «C'era un campo di gioco in ogni osteria, a fianco delle bocce, e si giocava anche a casa nostra e in tante altre case di contadini».

Finita l'era dell'agricoltura tradizionale, l'antico gioco si è come dissolto nel nulla, in maniera repentina e i campi in cui si giocava a fianco delle osterie sono diventati parcheggi. Sopravvive ancora in qualche circolo anziani, come a Fossalunga di Vedelago. Ma morto anche l'ultimo vecchio che fin da bambino aveva imparato l'arte della borea, non ci sarà nessuno a raccoglierne l'eredità.


Allegati

Si parla di