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"When we dance, you make me happy": opere dalla collezione di Luciano Benetton

Una delle opere esposte

E' stata inaugurata qualche giorno fa, presso le Gallerie delle Prigioni, la mostra collettiva When you dance you make me happy, che presenta ben 44 opere scelte dalla collezione d’arte di Luciano Benetton. La mostra è incentrata sul corpo umano, contenitore di lotta esistenziale da cui scaturiscono ingegno e creatività. La danza è una metafora e ci guida in un viaggio che parte dall’introspezione per condurre a diversi atti performativi. Il corpo si muove, si ferma, riprende a muoversi, e acquista forza all’interno di un gruppo, in un crescendo che va dalla decadenza al trionfo. La mostra, a cura di Nicolas Vamvouklis, presenta sculture, quadri, stampe e video di artisti internazionali all’interno delle celle delle ex carceri asburgiche. Il percorso espositivo procede dall’antitesi tra dimensione interiore e mondo esterno, sfera pubblica e sfera privata, partendo dall’idea del corpo come guscio, che è dimora ed è prigione. Il campo di indagine si apre poi alla dimensione collettiva e osserva le azioni che il corpo compie in occasioni pubbliche di celebrazione, lutto o protesta. Soundsuits, la serie emblematica di opere in cui Nick Cave fonde armature, abiti cerimoniali e fashion couture, diventa qui simbolo di autonomia e affermazione Tra i lavori in mostra vi sono le polaroid ritagliate di Maripol (Eyes are the reflectio of your soul, 2013) che catturano lo sguardo di alcune celebrità, e il ritratto enigmatico di Lynette Yiadom-Boakye (Pass, 2011) che colloca figure sfuggenti in un contesto senza tempo.

La ricerca riguarda anche l’approfondimento delle narrazioni contenute nel progetto Imago Mundi, come nel caso dell’opera di Accra Shepp (dalla raccolta United States: Organix) intitolata Shit Is Fucked Up and Bullshit (2013), in cui viene messa in discussione la partecipazione a movimenti e manifestazioni nell’era digitale. Infine, la mostra si sofferma sull’idea delle tracce, intese come vestigia fisich o immateriali che lasciamo dietro di noi. È in questa lettura che si collocano le ventisette paia di scarpe dell’installazione Fela: Amen, Amen, Amen, Amen... (2002) di Barkley L. Hendricks, riferimento alla poligamia simbolica dell’attivista e pioniere dell’afro-beat Fela Kuti. Il documentario The Whole Gritty City di Richard Barber e Andre Lambertson sulle bande musicali di New Orleans svela, da ultimo, la forza di una fascia della popolazione normalmente relegata ai margini della società. A partire dall’idea che collezionare sia atto creativo e, assieme, espressione di cura, la mostra avvia un lavoro di interpretazione delle esperienze contenute nella Luciano Benetton Collection. Le immagini della mostra scandiscono un ritmo infuso di energia che il visitatore è invitato a lasciar pulsare, per rispondere con il proprio movimento.

Artisti in mostra: Hamed Al Moctar, Arman, Stuart Bird, Iskra Blagoeva, Ecke Bonk, Seni Camara, Bianca Casady, Nick Cave, Mohammed Charinda, Felix Deac, Birgit Dieker, Nathalie Du Pasquier, Roman Dziadkiewicz, Leo Gabin, Barkley L. Hendricks, Karoline Jeuffroy, Joseph Kosuth, Dapper Bruce Lafitte, Helmut Lang, Deborah Luster, Joseph Lyombo, Maripol, Atefeh Marjani, Angel Miov, Asli Narin, Ousmane Ndiaye Dago, Hermann Nitsch, Hélio Oiticica, Giangi Pezzotti, Anna Elionora Olsen Rosing, Haralampi G. Oroschakoff, Iona Rozeal Brown, Accra Shepp, Mario Toral, Lynette Yiadom-Boakye, Arturas Valiauga.


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